Preghiere degli africani “primitivi”

Ho scritto primitivi tra virgolette proprio per specificare che per primitivi intendo “popolo non inficiato da elementi di cultura esterna”

Come missionari abbiamo avuto occasione di raccogliere in alcune tribù (Samburu, Kikuyu, Meru,Turkana, Gabba, Borana, ecc….) magnifiche espressioni di preghiere di quelli che comunemente dal volgo vengon definiti “pagani”.

La preghiera – tra questi popoli- non è un pezzo di discorso mnemonico che tutti ripetono allo stesso modo, in voce unisona.

C’è invece un corifeo che al inventa ed adatta un canovaccio a seconda della necessità e del rito e festa ed occasione.

Il popolo partecipa alla preghiera anche con una particolare posizione del corpo. La posizione “acoccolata” è quella prevalente. Chi prega mette i gomiti sulle ginocchia ed alza verso il cielo le palme delle mani, serrandole poi ritmicamente a pugno quando il corifeo ha terminato la sua prima frase o invocazione. Ad esempio il corifeo inizia:

Nkai ai (Dio mio) ed il popolo ripete a ritornello Nkai ai serrando ( o allargando le mani ).

Poi prosegue: Che parli a noi con voce di tuono…. e tutti: Nkai ai…

Abbiamo stampato in un libretto ciclostilato una serie di preghiere samburu selezionate, assai significative e belle.

C’è la preghiera del vecchio che è davvero commovente. Egli prega di poter raggiungere la vecchia età, quella che gli dà diritto di poter essere sotterrato (invece che buttato alle belve), con la faccia rivolta alla montagna” dove sei Tu, Dio mio, Dio del mio Njiro, Dio del mio Kulal(nomi dele montagne sacre…)”.

C’è una stupenda preghiera alla sposa novella, in cui sembra attingere a elementi di preghiera degli antichi patriarchi dei tempi di Abramo ed Isacco.

Tra i Gabbra e Borana è inimitabile la preghiera per la pace e per la pioggia, quella sul neonato…

In molte preghiere subentrano anche elementi mitici o nomi di luoghi che richiamano, ai componenti della tribù, valori che a noi europei non significano alcunchè. Ad esempio in una preghiera Meru:

“Dio fa splendere la tua luce su di noi come la Laikera (Venere). Che ( la persona per cui si prega) possa salire alto come il Keremara ( la montagna del Kenya); che possa profumare come il mogno (un tipo di salgemma); che trabocchi come le acque di Rughe ecc….

Ee mwene mocie… eh! Tu padrone delle nostre capanne…

Queste preghiere, sfortunatamente nel passato vennero accantonate, poiché si pensava avessero troppi elementi pagani o perlomeno estranei. Pian pianino si fece una revisione su questo ed anche sui canti e si scoprì che non erano molti gli elementi da lasciare; anzi il popolo accettò di buon grado l’introduzione sia delle preghiere come i canti nell’elenco tradizionale”tradotto” da noi latini ed oggi accanto al cadenzare marziale di certi inni di stile “ Noi vogliam Dio” la nostra gente canta e gusta al suono ritmico dei tamburi i suoi canti antichi rinnovati dalle verità cristiane.

L’operaio dovette sborsare tanto da comperare un grosso capro per il sacrificio. Le donne (circoncise e non) tornarono a vestirsi per l’occasione dei loro vestiti di pelle, si pitturarono la testa di bianco e fecero la grande processione fino all’albero sacro.

Padre Quatrocchio (padre della Consolata)